Maldifiume: Responsabilità narrativa e resistenza liquida

Irene Cecchini dialoga con Simona Baldanzi, autrice di Maldifiume

Simona Baldanzi, inaugura il suo percorso di scrittrice con il racconto Finestrella Viola (1996) finalista del Premio Campiello Giovani, esordirà con il romanzo Figlia di una vestaglia blu (2006), interessandosi alla condizione lavorativa delle operaie del settore tessile e degli operai edili della TAV in Mugello, per poi dedicare i suoi libri successivi alla sua terra come Mugello Sottosopra (2011) e Il Mugello è una trapunta di terra (2014).  

Maldifiume, Acqua passi e gente d’Arno è il suo ultimo romanzo-reportage, nel quale l’autrice diviene protagonista diretta dei fatti narrati, elaborando una nuova forma creativa di responsabilità, dove l’oggetto della storia è motivo di riflessione ecologica, sociale e morale.

Con questo libro Simona Baldanzi si inserisce all’interno di quella corrente di scrittori-esploratori che si lasciano trasportare dal tracciato del fiume; il suo viaggio con lo scopo di comprendere la vita lungo l’Arno e l’Arno stesso si combina così con la sua scrittura per attuare un lavoro di riabitazione e riabilitazione del luogo.

 

 

Irene Cecchini: L’idea di percorrere in prima persona il corso del fiume Arno la lega a un gruppo di scrittori quali Paolo Rumiz, Gianni Celati, Ermanno Rea che hanno orientato le loro spedizioni cartografiche lungo il fiume Po. Il fiume è un cammino ben diverso da quello su manto stradale: perdendo la possibilità di sguardo verticale, si è costretti ad assumere il livello orizzontale del corso d’acqua che avvolgendo il suo viandante lo spinge ad osservare il mondo da una prospettiva nuova che permette, come anche lei scrive, «di imparare una lingua diversa». Lei pensa di aver appreso una nuova poetica del guardare e dell’ascoltare attraverso la lentezza e rigenerazione del fiume?

Simona Baldanzi: Seguendo il fiume non sai mai  quanto tu ti debba adattare alle sue acque, non è un sentiero che sta lì, fermo. Non è un caso che i pellegrini per compiere rotte lontane ne camminassero distanti, erano maggiormente esposti ad ostacoli e pericoli. I crinali ti riparano, è come stare in groppa ad un animale, mentre vicino al fiume, stai sul muso della bestia, la senti respirare. Ho appreso sicuramente un passo diverso, l’acqua non va mai alla stessa velocità, può stagnare come essere impetuosa, sbuffa o sospira. Ci si deve adattare anche ad un ascolto diverso, a volte lento, a volte da lasciarsi andare. Questo credo abbia a che fare molto con la poetica e col ritmo. E sì, anche una lingua: ho scoperto quanto la storia del fiume, delle sue rive abbia impastato e plasmato parole in questo suo eterno rigenerarsi. Un vocabolario ricchissimo che è cambiato nei decenni.

I.C.: Bachelard nel suo L’eau et les rêves afferma «L’acqua dolce è la vera acqua mitica» tanto che nel Morimondo di Rumiz l’autore è costretto a gettare il libro di Marguerite Yourcenar Novelle orientali nel fiume, come rituale catartico per liberarsi dal peso delle leggende che affastellano il fiume. Lei invece si nutre continuamente di tutti i racconti della gente d’Arno che incontra durante il viaggio, arrivando a sostenere che «ogni racconto è leggenda».

Come e perché l’oralità diventa nuovo strumento narrativo per ridare vita a luoghi periferici?

SB: Mi ha colpito molto sapere che si sta costruendo una grande pista ciclabile lungo tutto l’Arno e che non si sia andati ad ascoltare la gente che popola le sue rive. I luoghi non sono solo fatti di materia fisica e dunque chiaro che per progettare ingaggi ingegneri, architetti, geologi ecc. Ma il resto? Non lo dico per accettare o meno l’opera, ma per integrarla, costruirla stabile, duratura, apprezzata. Una pendenza può essere strategica così come un’associazione di uomini o donne. Mi sfugge che ancora questo aspetto non venga preso in considerazione dalla politica. Se si parla poi di leggende, di storie fantastiche, di personaggi epici, allora sì che si torce il naso. Invece io credo che mescolando le acque, come fa il fiume con gli affluenti, ci sia molto da imparare su come gestire il bene comune. Sui luoghi periferici poi funziona come il nostro sistema di circolazione del sangue: se via, via perdi le periferiche, il corpo perde vigore. Potrai fare a meno di certi arti, ma le amputazioni hanno dei rischi e comunque nel territorio non può succedere: è molto più collegato del nostro corpo.

Simona Baldanzi – Fonte immagine: http://simonabaldanzi.it/biografia/

I.C.: Come ci racconta di Mirna, studiosa e sostenitrice del centro Dino Campana, così lei sembra sentire l’esigenza di salvaguardare l’Arno e le persone che vi ruotano attorno.

Il suo Maldifiume quindi, oltre ad avere una funzione meramente letteraria legata al suo essere romanzo, sembra assumere una funzione di responsabilità, poiché l’intento è quello di dare voce a luoghi e persone altrimenti lasciati in disparte. Cosa l’ha spinta verso questo ambientalismo orizzontale -narrativo e d’azione diretta? Pensa che occorra mettere in atto una nuova riflessione sui luoghi più marginali o comunque lontani da interesse turistico?

S.B.: Siamo tutti stufi della calca di certi luoghi di interesse turistico. Ne facciamo parte eppure ci fa un po’ ribrezzo. Cerchiamo giustificazioni per spostarsi come se la curiosità di massa non ci debba appartenere. Mi ha colpito una sera a veglia, una ventenne che parlando dell’Arno e ascoltando i racconti degli altri e le mie domande, aveva capito che a Firenze lo fotografava, a Rignano, casa sua, no. Eppure è lo stesso fiume. Da certe osservazioni possiamo iniziare a capire quanto siamo spinti a cercare l’interesse dominante. Ma il nostro? Camminare lungo il fiume ti riporta a dare una giusta dimensione al centro e alla periferia, perché un chilometro di cammino è lo stesso per il tuo corpo e il tuo sguardo, in qualsiasi punto. La distanza e la durata diventano i metri di calcolo che non tengono presente se sei a Firenze o nelle foreste casentinesi. Il corpo in movimento ci rende un approccio diverso. Usi una parola importante che c’è in questo libro “responsabilità”. Non è la mia, ma quella collettiva. Credo che molti degli incontri che ho fatto abbiano ben chiaro cosa significhi essere responsabili e quanto conta prendersela questa responsabilità lungo le rive. La politica spesso fa l’opposto: proibisce per evitare problemi. Non si prende responsabilità. I problemi così li scansa. Il fiume ti insegna un altro metodo anche per la politica, questo insistere nel percorso, questo mescolarsi di affluenti e punti di vista e provenienze, questo essere pronto ai cambiamenti, dove bisogna rallentare e dove irrompere, quanto sia importante arrivare a mare e pure cambiare natura, da dolce a salata.

I.C.: Nel suo precedente libro Il Mugello è una trapunta di terra riflette su come la mal gestione dello sviluppo economico abbia trasformato il Mugello in «terra-cantiere»: «un patchwork scomposto fatto di grandi opere, autodromo, centrale idroelettrica, palazzine, Tav, capannoni, outlet, Mc donald’s, autostrada, variante di valico, agriturismi, centri commerciali, un grande invaso. (p.46)»; in Maldifiume invece sembra concentrarsi sulle piccole realtà e singole persone che operano sul territorio con attenzione ecosostenibile e con lo scopo di sviluppare attività culturali e sociali che arricchiscono la vita del luogo (tutte presenti nei suoi ringraziamenti a fine libro). Pensa che la letteratura possa essere un mezzo di denuncia ma anche di rivalutazione dei luoghi grazie alla sua capacità immaginativa e rappresentativa della realtà?

S.B.: Parto più o meno dalla stessa domanda, che sta succedendo in Mugello? Cosa succede intorno l’Arno? Poi in questi cammini o viaggi lenti ho trovato storie diverse. Credo che raccontare serva a farsi sempre più domande, ad andare più a fondo, anche ad immaginare risposte. Mi hanno invitato in Portogallo all’università di architettura a Guimarães per parlare con gli studenti che stavano studiando il fiume vicino a gruppi e ogni gruppo aveva da studiare 8 chilometri di fiume. Mi è piaciuto molto questo confronto interdisciplinare. A forza di ultra specializzazioni, ci siamo persi l’importanza di quanto sia fondamentale mescolare. Abbiamo avuto un genio mescolatore come Leonardo su questo. Poi più? Non è detto, lui era uno e quasi sicuramente irripetibile, però siamo tanti, proviamoci come comunità ognuno con un pezzettino da mettere a disposizione.

I.C.: Riguardo alla struttura e allo stile adottati per raccontare la sua esperienza sull’acqua dell’Arno, sembra che lei abbia scelto di orientarsi verso un approccio fortemente documentaristico, mantenendo però un costante sguardo diaristico, intimo e personale. Ci può spiegare questa scelta? 

S.B.: Volevo rendere l’idea del doppio stile del fiume: da una parte sedimenta, conserva, si struttura un letto, da una parte in superficie, continua imperterrito a scorrere. Documentiamo per creare un letto comune, parliamo di sensazioni e di corpo e di intimità per l’acqua che scorre. È una sensazione mia, ma poi universale. Il fiume costruisce un sentiero, ma ogni acqua che lo attraversa è diversa sempre, continuamente rigenerata. Lo sento molto simile ad un corpo di donna, con tutte le trasformazioni che compiamo, queste sì, molto più evidenti e di cambiamento che nel corpo di un uomo.

Sito personale di Simona Baldanzi:  http://simonabaldanzi.it

Per citare questo articolo: 

Simona Baldanzi, Irene Cecchini, Maldifiume: responsabilità narrativa  e resistenza liquida. Irene Cecchini dialoga con Simona Baldanzi, in Literature.green, Marzo 2019,  URL: www.literature.green/maldifiume-responsabilita-narrativa-e-resistenza-liquida/, pagina consultata il [data]

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